I marchi sul Palazzo Pazzi

Anno/Year 2014
150 pagine/pages
30 illustrazioni/illustrations.
14,8x21 cm.
ISBN 978 88 97080 63 3
€15.00




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Guglielmo Adilardi
Eduardo Bruno

I marchi sul Palazzo Pazzi
La sede massonica nella Firenze capitale

L’amico scultore Eduardo Bruno, che conosco ormai da tanti anni e dal quale ho imparato tanti piccoli segreti che mi permettono, ad esempio, di riconoscere, sulla muraglia di un edificio, le pietre scolpite da scalpellini diversi («ogni scalpellino ha la sua firma»), che mi ha mostrato tante cose di straordinario interesse nella sua piccola città natale calabrese di San Marco Argentano, mi ha raccontato la sua lunga storia personale da giovanissimo scalpellino fino alla conquista della laurea presso la fiorentina Facoltà di Lettere, questo carissimo mio amico mi ha chiesto questa volta una cosa troppo difficile. Dovrei infatti illustrare il Palazzo Pazzi di Firenze, sul quale posso soltanto dire che i suoi proprietari dettero il nome alla famosa “congiura dei Pazzi” contro i Medici (1478), dalla quale Lorenzo riuscì a salvarsi, ma che si portò via il più giovane fratello Giuliano. Ed il mio compito mi appare ancora più grave perché il volume collettaneo tratta anche di quella che fu la sede della massoneria nella Firenze capitale. Ce ne parla lo storico della massoneria Guglielmo Adilardi partendo da “Le origini della massoneria del Marchio. I marchi dei muratori e la loro registrazione” e proseguendo con “Palazzo Pazzi sede della Massoneria nella Firenze capitale”. Direi tuttavia una bugia se affermassi che la mia lettura non ha trovato interessanti queste pagine, fitte, tra l’altro, di molte vicende biografiche (vedi gli inediti di Giosuè Carducci) di protagonisti e comprimari. Del resto, come è noto, il rapporto intercorrente tra massoni e muratori è stato ormai da molto tempo conosciuto, anche a Firenze, come un fattore diffuso della società.
Mi tornano, su questo problema alla mente ciò che mi diceva già molti anni fa Eduardo Bruno sui segreti che gli celava il suo capomastro quando, poco più che bambino, gli rivelava le sue capacità di scalpellino e più tardi, ma già vecchio, sebbene ricordi gli rivelò come doveva collocarsi il rosone di una chiesa2.
I miei rapporti con l’artista si sono poi moltiplicati quando la Calabria era ormai diventata per me una regione ben nota grazie ad una serie di motivi, più importante fra tutti quello di studiare gli aspetti agricoli del Medioevo attraverso lunghi viaggi ed il frequente suo attraversamento per raggiungere la Sicilia per le vacanze estive. Quando poi cominciai a visitarla insieme a lui, partecipando ad attività culturali3 e venendo a contatto con molta gente di San Marco Argentano le mie conoscenze si moltiplicarono. Vidi intanto, nella sala consiliare del Comune, lo stupendo bassorilievo che Bruno aveva scolpito per la sua città. Lessi il fascicolo che egli, su iniziativa dell’Amministrazione comunale, aveva steso per informare i turisti, ma soprattutto fui da lui sempre più largamente informato di ciò che si poteva trovare laggiù: la possente Torre normanna, la stupenda Cripta di età normanna conservata nella cattedrale e un po’ discosto dalla città, i resti della famosa abazia della Matina, della quale conoscevo le carte edite di un grande studioso (... Pratesi), ma ora potevo vedere la ricostruzione grafica nel ricordato fascicoletto. Ma ben altro, via via, Bruno mi offriva quando ricordava il fiume Fullone – nome parlante che rivelava le sue antiche funzioni – e i mulini animati dalle sue acque. Giravamo per ore sulle vie della piccola città, per la cui valorizzazione Bruno aveva speso le sue competenze ed i suoi affetti, e mi raccontava molte cose, anche di carattere strettamente personale che mi univano sempre di più.
Ma ora posso osservare, credo, che quello che egli ci presenta sul Palazzo Pazzi, in un contesto, che come ho affermato contiene anche la descrizione accurata dei detentori dell’edificio, mi sembra un impegno di natura anche più importante rispetto alle altre cose da lui scritte, non foss’altro perché a Firenze Bruno si sente strettamente legato da anni per insegnamento e per legami fortissimi di ammirazione per la grandezza artistica, economica, culturale e civile di cui la città fu specchio ammirato nel mondo (Firenze conserva, tra l’altro anche qualcosa di suo). Dico dunque soltanto di questo volume, senza specificare troppo, anche perché il lettore mantenga la sua curiosità, che intorno al Palazzo Pazzi operarono prima Andrea, poi dopo la sua morte uno dei tre figli, Jacopo, considerato il maggiore responsabile della congiura.
Bruno racconta, in modo convincente, quanto il grandissimo Brunelleschi sia stato presente nelle ambizioni dei Pazzi, padre e figlio, a partire nel momento in cui lavorava alla Cappella di Famiglia in Santa Croce sino almeno a poco prima della morte, quando incaricò dei lavori i giovanissimi allievi Giuliano da Maiano e i suoi fratelli: il «“Marchio” brunelleschiano, sottolinea Bruno, è comunque evidentissimo e riconoscibile nelle sconcertanti novità linguistiche del nostro emblematico palazzo. Vi sono infatti elementi inconfutabili come l’intonaco bianco di facciata, la scansione delle finestre in pietra grigia che si richiama direttamente alla politezza e alla chiarezza del ritmo spazio-temporale del Loggiato degli Innocenti… ulteriormente voglio sottolineare come le bifore portano inciso un tralcio di acacie che allude a significati ermetici, i quali si ritrovano anche in altre opere del Brunelleschi. Il nostro Palazzo in ultima analisi non è globalmente confrontabile cogli altri palazzi del Quattrocento fiorentino, in quanto ha delle caratteristiche peculiari di raffinatezza, di equilibrio e soprattutto di “gentilezza”;… per questa caratteristica infatti il nostro edificio è considerato il prototipo del Palazzo rinascimentale “fiorito” in contrapposizione al contemporaneo Palazzo “munito” Medici-Riccardi, il quale è privo, come altri palazzi dell’epoca, di intonaco liscio. Questa novità rivoluzionaria dell’intonaco, che ha il suo unico riferimento nella Loggia degli Innocenti, è perfettamente brunelleschiana».
Il volume prosegue coll’illustrazione di Bruno dei segni e dei simboli posti sin dall’antichità sulle pietre da taglio, “misteriosi segni con valenze simboliche, cosmologiche, esoteriche”. Questi antichi segni hanno attraversato la storia comprendendovi anche il Medioevo ed il Rinascimento. Esse rispondevano a criteri religiosi, militari, magico-esoterici, ma anche a finalità astrologiche come ben ricorda chi, come il sottoscritto, ha visitato in Inghilterra il tempio solare di Stonehenge. Il lungo medioevo ha poi favorito, in Europa, una «rigenerata comunicazione semantica fatta di segni, di simboli, di crittogrammi e simbologie cosmiche; autorità religiose, militari e grandi borghesi affiancati dai maestri d’opera hanno illuminato il percorso umano e spirituale attraverso sublimi monumenti di pietra, nella suprema ricerca della pietra filosofale e della Grande Opera sempre incompiuta. Queste opere sono libri di pietra da decodificare per afferrare almeno in parte il loro significato esoterico».
Basti questa citazione per comprendere lo spirito dell’artista Bruno e mi basti – anche per non proseguire oltre e lasciare ai lettori la possibilità di stupirsi, di immaginare, di fantasticare sull’arte piena di magie e di misteri – accennare soltanto al fatto che Bruno nella sua opera, nella sua passione, nelle sue immaginazioni di artista non ha ovviamente rinunciato ad andare alla ricerca dei magici simboli o di quelli anche funzionali che sono stati lasciati sulle pietre nel corso dei secoli, qualche volta ricomparendo dall’una all’altra zona, e anche a sensibile distanza, facendoci così fantasticare su movimenti di gruppi o su loro scissioni. Accenno soltanto ai maestri lapicini del duomo di Pienza, i cui marchi furono i medesimi delle maestranze che costruirono il duomo di Santo Stefano a Vienna (1450). Ma mi sembra il momento di concludere, perché la «personale esperienza di scalpellino squadratore (da ragazzo fui impegnato nei cantieri di restauro) mi aiuta – scrive Bruno – a riconoscere almeno sette tipologie di segni», fra i quali tre sono i più frequenti. Queste conoscenze vengono poi da lui indirizzate a stabilire la “segnatura” di Palazzo Pazzi e di altri palazzi fiorentini. Più che a male descrivere i caratteri rinvio senz’altro il lettore facilmente curioso a guardarsi in questo volume le foto preparate dall’artista.

Giovanni Cherubini






GUGLIELMO ADILARDI (Meolo, VE 1948). E’ laureato in giurisprudenza con una tesi in Diritto Ecclesiastico. Giornalista. Sue recensioni su Arkete, Camicia Rossa, Delta, Laboratorio, Nuova Antologia, Hiram di cui fu redattore di “Note e recensioni”. Ha promosso in Prato convegni di studio (nel 1989,’90,’91) in collaborazione con il Centro per la Storia della Massoneria di Roma, con lo storico Aldo A. Mola, su Giuseppe Meoni (1879-1934), Giuseppe Mazzoni (1808-1880), e in occasione del ventennale dell’incontro di Savona tra il Gran Maestro Giordano Gamberini e don Rosario F. Esposito.
E’ autore di un saggio: Un’Antica condanna: le origini di un conflitto tra Chiesa Cattolica e Massoneria, Volume I (Bastogi. Foggia, 1989). E’ autore del saggio: La chiave massonica per l’interpretazione del Flauto Magico nel volume collettaneo curato da Aldo A. Mola: Mozart il Maestro (Edito da Toso, Torino, 1991).
Il Centro Studi sulla Letteratura Belga di Lingua Francese dell’Università di Bologna, ha pubblicato nel 1995 il saggio: Eléments pour une interprétation ésoterique de la “Legende de Thyl Ulenspiegel” de Charles De Coster Beloeil. Il Centro de Estudios Historicos de la Masoneria Espanola dell’Università di Saragoza, diretto dal prof. José A. Ferrer Benimeli, ha pubblicato nel 2000 il saggio: La significativa presenza di sacerdoti nelle Logge massoniche del Granducato della Toscana in epoca napoleonica. Ha pubblicato: Un sacerdote massone: Antonio Jerocades (1738-1803). Edizioni Polistampa (Firenze, 1999), della quale è direttore della Collana “Massoneria”. Ha pubblicato Memorie di Giuseppe Mazzoni (1808-1880) L’uomo, il Politico, il Massone (1808- 1861). Volume I. Pacini Editore, Pisa, 2008. A vent’anni dalla pubblicazione di Un’Antica condanna Vol. I, edita: Chiesa cattolica e Massoneria: antiche lotte-nuovi orizzonti. Bastogi Ed. Foggia, 2009. Per Angelo Pontecorboli Editore: Massoneria Femminile. La nascita delle Stelle d’Oriente in Italia. Firenze, 2010; per lo stesso: Giuseppe Meoni (1879-1934). Maestro di Libertà.Firenze, 2011; La Massoneria di Lino Salvini, Cultura, trasparenza e società civile (1970-1978), Firenze 2012; Filippo Brunelleschi uomo del Rinascimento e la novella del Grasso legnajuolo, Firenze,2012. In Firenze ha promosso nel 2011 per il 150° dell’Unità d’Italia il convengo Trono e Altare – Esercito e Popolo alla villa di Poggio Imperiale con lo storico Aldo A. Mola ed il Colonello di Stato Maggiore Antonino Zarcone. Per i Tipi di Laterza ha pubblicato, Ferdinando Martini. L’Uomo, il Letterato, il Politico. Bari, 2012. Nel 2013 sempre per i Tipi Pontecorboli ED. I Marchi sul Palazzo Pazzi- La sede massonica nella Firenze Capitale con un saggio introduttivo di Giovanni Cherubini. Alcune delle sue opere sono state tradotte in francese, spagnolo, inglese.

 

 


 Eduardo Bruno con documentazione inoppugnabile,
con il rigore di Storico dell’Arte che lo contraddistingue
e per avere in gioventù lavorato come “mastro
scalpellino”, nel testo può affermare: non sappiamo
esattamente come siano andate le cose, ma la “ristrutturazione
della Chasa” (1432) e l’erezione della Cappella
Pazzi in Santa Croce, iniziata nel 1433, affidata
da “Messer Andrea” de’ Pazzi a Filippo Brunelleschi fa
propendere fortemente non solo per la ristrutturazione
della bottega in camera, ma per una trasformazione
in corso da “casa torre” in palazzo signorile. A nostro
sommesso avviso, questo è avvalorato dai marchi
nel bugnato rustico che sono preesistenti e più antichi
rispetto a quelli contrassegnati come più moderni
nella parte di allungamento successivo del palazzo in
via del Proconsolo e da una lesione verticale, proprio
in corrispondenza della vecchia “casa torre”.
Secondo un clichè ormai consolidato Jacopo Pazzi
viene accusato dal Poliziano di aver distrutto la casa
paterna e al suo posto anche secondo recenti studi
avrebbe costruito tra il 1458 ed il 1469 su progetto di
Giuliano da Maiano l’attuale palazzo Pazzi. La serrata
analisi stilistica e documentaria del tempo – afferma
Bruno nel testo – ci porta ad una diversa conclusione:
Jacopo non distrusse totalmente la casa paterna, ma la
ristrutturò ampliandola secondo il progetto brunelleschiano,
voluto da messer Andrea. L’ampliamento
del palazzo, per addizione modulare di due bifore e il
completamento della nuova tipologia di palazzo detto
“Fiorito”, inventata dal grande Brunelleschi, fu portato
avanti, dopo la morte del maestro(1446), da Giuliano
da Maiano e dai suoi fratelli che già lavoravano
alla cappella Pazzi sotto la direzione del Brunelleschi.